SINDONE, DEVOZIONE, CONTAGIO

Gian Maria Zaccone

                    Peste bubbonica e catarro   de’  polmoni sembran
                    distare tanto l’  una dall’  altro quanto da morte è
                    lungi un lieve   incomodo di salute.   E pure strana
                    cosa asserir non credo che il numero delle umane
                    vite troncate dal catarro e dalle sue conseguenze,
                    se   pur non  supera,  pareggia   almeno quello in-
                    volato dalla peste”.

Così nel 1835 il dott. Luigi Marchesani introduceva la sua traduzione italiana annotata di un articolo apparso in Francia sul Dizionario delle Scienze Mediche, pubblicata a Napoli. Il quale a riprova elenca un numero di ferali epidemie di polmonite succedutesi negli anni, tra cui quella europea del 1729, quella romana del 1719 e quella del 1694 in Assia.

Proprio in quest’ultimo anno a Torino si celebrò l’inaugurazione della Cappella della Sindone con l’intronizzazione del Lenzuolo. Il Nunzio a Torino riferisce a Roma con precisione lo svolgimento della cerimonia ed al termine precisa che si evitò una diffusa e tempestiva comunicazione onde limitare le presenze a Torino per tutela della popolazione: “Non si pubblicò la traslazione giorni prima, per non accumular gente soverchia in Torino non permettendo per buona regola di Governo la calamitosa contingenza de’ tempi correnti, da quali si prega adesso dal Signore Iddio che ne liberi per i meriti del sangue suo sparso in quel santo Lenzuolo, come si spera per sua infinita bontà, e misericordia”.

Scorrendo le relazioni delle ostensioni è facile osservare come più volte si limitò l’afflusso o addirittura si rimandarono le ostensioni per causa di pericoli di contagio.

Come si può notare comunque l’invocazione è correttamente sempre rivolta al Signore per i meriti acquisiti con il Suo sacrificio e spargimento di sangue, la cui presenza sulla Sindone è data all’epoca scontata, con tutto ciò che ne consegue dal punto di vista devozionale.

È bene ricordare a proposito le parole di Agassino Solaro di Moretta, vescovo di Fossano, che nel suo libro del 1627 – testo di riferimento sulla Sindone per molti secoli – scriveva che «chiunque la mira e la contempla [la Sindone] con ragione, la stima non solamente un perfetto e chiaro compendio di quanto scrivono gli Evangelisti della Passione e morte del Salvatore; ma un’ampia e copiosa dichiarazione del loro sacro testo e compìto ritratto di tutta la sua sacrosanta e divina persona».


 
Gli fa eco il poeta Guido Casoni nel passo colmo di ossimori di un’ode pubblicata sempre nel volume del Solaro:


Contempla in voi l’anima amante, e vede
Ne’ tormenti la gloria                                
Nell’odio amor e nel penar mercede,        
Nella morte vittoria,                                  
Nell’ignominia merto                                 
e nel chiuder l’inferno il Cielo aperto.      

 

D’altra parte la Sindone fu sempre oggetto di devozione particolare nei momenti di crisi e segnatamente nei periodi di malattia.

La stessa impronta sulla Sindone, per le numerose immagini di lesioni visivamente associabili alle piaghe procurate dalla peste, veniva idealmente sovrapposta a quella di un corpo contagiato diventando - similmente a quanto avvenne per l’immagine di san Sebastiano anch’esso in questo senso connotato nell’iconografia dalle tante ferite dovute al martirio - oggetto di devozione con un forte valore apotropaico. Per questo troviamo spesso a livello popolare ma non solo, l’immagine della Sindone dipinta sopra le porte delle case o in evidenza su piazze e cantoni, a fermare il male, il contagio, la razzie. Un uso tradizionale delle immagini, codificatosi nel tempo, poste a guardia e baluardo in punti strategici affinché tutti i passanti, ma soprattutto le fonti del male la vedessero, gli uni per invocare la protezione del Signore, le altre per non provare nemmeno ad avvicinarsi.

Ogni luogo possedeva la sua immagine o reliquia a cui votarsi nei momenti di pericolo, che sono divenute patrimonio della devozione delle comunità. A Roma in questi giorni abbiamo visto con commozione il solitario pellegrinaggio del Santo Padre Francesco verso due iconiche realtà in tal senso. A Torino certamente la Sindone, accanto più tardi all’effigie della Consolata, ha rappresentato un punto forte di tale devozione.

Si possono fare alcuni esempi tra i tanti.

Nel 1599 venne indetta una solenne processione con tutte le reliquie della città, e dunque anche la Sindone, per ringraziamento della preservazione dal contagio.

Durante la peste del 1630, quella descritta dal Manzoni nei Promessi Sposi, la Città di Torino si affidò al Signore attraverso l’immagine della Sindone per la cessazione del contagio, che portò nel 1632 ad un pellegrinaggio di 12 consiglieri che offrirono un prezioso bassorilievo in argento sbalzato a scioglimento del voto. Il bassorilievo raffigura la Sindone sostenuta e attorniata dai santi protettori della città: Giovanni Battista al centro, ai lati i martiri della Legione tebea Solutore, Avventore, Ottavio e Maurizio. Nella fascia mediana è raffigurata la città di Torino, dove sono riconoscibili la facciata quattrocentesca del Castello (oggi Palazzo Madama), la Porta di Po e la torre civica. In basso, ai lati del cartiglio con l’esplicazione del voto, i consiglieri in vesti da pellegrini in atto di venerazione. La targa venne incastonata nell’altare della Cappella della Sindone, nella facciata rivolta verso il Palazzo. Proposero anche i consiglieri una processione di ringraziamento con tutte le reliquie della Città, Sindone compresa, come avvenuto 31 anni avanti.

Ma altre occasioni vi furono, legate alla salvezza della Città e delle genti. E non solo da parte della città.

Nel 1505 la Duchessa madre Claude de Brosse de Bretagne scrisse a Margherita d’Austria, vedova del precedente Duca di Savoia Filiberto II – entrambe legate da viva venerazione verso la Sindone: la seconda donò la preziosa cassetta in argento gioiello di oreficeria fiamminga per custodire la Sindone che, danneggiata, andò in disuso dopo l’incendio della Cappella di Chambéry quando, dopo i restauri, il Lenzuolo si conservò arrotolato – di «venire a vedere la Sindone alla quale vi ho raccomandato e che le piaccia proteggere voi e tutti quelli della vostra casa dall’epidemia».

Lo stesso Duca Carlo II nel 1522 in occasione di una pestilenza fece voto di andare a piedi da Torino a venerare la Sindone, cosa che fece accompagnato da 12 gentiluomini della sua corte.

Tanto nota da non doverne a lungo trattare fu la decisione di san Carlo Borromeo di fare voto di recarsi a Chambéry a venerare la Sindone durante la peste che afflisse il milanese nel 1576, affiancando il voto all’azione pratica ed alle preghiere e processioni con il Santo Chiodo conservato a Milano. Il legame di san Carlo con la Sindone è precedente ovviamente alla pestilenza e dimostrato in tante manifestazioni, e perdurò per tutta la vita: dopo il 1578, anno in cui la Sindone giunse a Torino per consentire un più agevole pellegrinaggio al santo vescovo in esecuzione del suo voto, altre volte egli venne a Torino per venerare il Lenzuolo, l’ultima occasione già sofferente del male che lo condusse non molti giorni dopo alla morte.

La dipartita della Sindone da Chambéry causò grande costernazione nella capitale savoiarda, per tanti motivi, tra i quali la comune affermazione che la sua presenza aveva tenuto lontano nel tempo ogni contagio dalla città. Alcuni esempi, dunque, tra i molti di atti di devozione verso la Passione di Cristo attraverso la Sindone, legati in particolare a situazioni di epidemia, ma anche in tante altre occasioni di crisi e difficoltà dello Stato e delle genti.