Sindone e Vangeli
La santa Sindone di Torino

 

Il termine Sindone (latino: Sindon; greco: σινδών) veniva usato, ai tempi di Gesù, per indicare un tipo di materiale di tessuto fine, per lo più di lino (a volte anche di cotone), ma anche, secondariamente, un singolo pezzo di tessuto.

Matteo
Marco
Luca

dal ms. GKS 11 2°: Evangelia IV (ca. 1250) della Kongelige Bibliotek di Copenhagen
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Il termine sindone ricorre nei Sinottici quattro volte relativamente alla sepoltura di Gesù in riferimento al tipo di stoffa, ma non alla grandezza e alla forma, ed una sola volta in Mc 14,51-52, dove sindon indica un sol pezzo di tessuto che avvolgeva il giovane uomo, in modo tale da restare nelle mani di coloro che lo afferrarono quando fuggì via:

Ioseph autem mercatus sindonem, et deponens eum involvit sindone Mc 15,46-47
Et accepto corpore, Ioseph involvit illud in sindone munda Mt 27,59-60;
Et depositum involvit sindone Lc 23,53-54
Acceperunt ergo corpus Iesu, et ligaverunt illud linteis Gv 19,40-41

Il termine sindon, utilizzato dai sinottici, è diverso da quello di Giovanni (immag. a destra): linteis (greco: ὀθόνια), proposto al plurale.
In effetti la discordanza non è contraddittoria.
Le operazioni della sepoltura di Gesù si sviluppano, in quel 14 di Nisan dell'anno 785 dalla fondazione di Roma, nell'arco di quattro ore, dall'ora nona (circa horam nona clamavit Iesus voce magna…, 27,46) fino al tramonto, o meglio fino alla terza stella, che in quel giorno comparve alle 19,08.
È un arco temporale di circa quattro ore che permise di adempiere a tutte quelle operazioni che si conclusero con la sepoltura.

Il protagonista della sequenza storica narrata dai Vangeli è Giuseppe di Ramataim, autorevole membro del Sinedrio, che viene presentato come discepolo di Gesù (…et ipse discipulus erat Iesu, Mt 27,57; …eo quo esset discipulus Iesu, occultus autem propter metum Iudaeorum…, Gv 19,38) e come chi aspettava il regno di Dio (...nobilis decurio, qui ipse erat exspectans regnum Dei, Mc 15,43; Et ecce vir nomine Ioseph, qui erat decurio, vir bonus et iustus ... qui exspectabat et ipse regnum Dei…, Lc 23,50-51).
Giuseppe d'Arimatea era, dunque, un discepolo di Gesù, anche se per questioni di opportunità ciò non viene detto chiaramente da Marco e Luca.
Giuseppe è il protagonista, sebbene in collaborazione con Nicodemo, di quelle ore.

Appena subito dopo la morte di Gesù, non sappiamo se prima o dopo l'accertamento effettuato dal soldato romano con il colpo di lancia, Giuseppe si reca da Pilato per chiedere la consegna del cadavere. Richiesta che Pilato accolse dopo aver avuto conferma della morte e senza ricevere in cambio denaro, in osservanza della legge di Augusto che prevedeva la restituzione dei cadaveri a genitori o familiari per la sepoltura ed in considerazione della autorevolezza di Giuseppe, che si trovava in quella circostanza ad essere l'unica persona a poter avanzare quella richiesta, dal momento che Maria era rimasta ai piedi della croce ed i Discepoli erano prudentemente nascosti.
Il percorso dal Golgota alla residenza di Pilato e viceversa non richiese, a piedi, più di un'ora; il colloquio con Pilato non dovette essere lungo. Quindi, in quel pomeriggio di vigilia del Sabato, Giuseppe aveva a disposizione, fino alla comparsa della terza stella, un tempo ragionevolmente accettabile per procedere alla sepoltura. Questa non fu usuale per un giustiziato per crimini politici e/o religiosi. Infatti, coloro che venivano mandati a morte finivano nelle fosse comuni.

Giuseppe svolse un ruolo decisivo perché a Gesù fosse concessa una degna sepoltura.
Secondo la legge giudaica il corpo di Gesù non poteva essere lasciato sulla croce durante la notte, essendo morto come maledetto da Dio:«Il suo cadavere non dovrà rimanere tutta la notte sull'albero, ma lo seppellirai lo stesso giorno, perché l'appeso è una maledizione di Dio e tu non contaminerai il paese che il Signore, tuo Dio, ti dà in eredità» (Dt 21,23).
Giuseppe viola la legge giudaica e, pur esponendosi davanti al Sinedrio, tuttavia persegue con decisione e coraggio il proposito di dare al cadavere di Gesù una degna sepoltura.
A questo scopo compra una stoffa di lino, forse durante il ritorno al Golgota, considerato che, molto probabilmente, erano possibili acquisti di questo genere al mercato prima della sospensione di ogni attività lavorativa per l'avvicinarsi del sabato.
E questa è, rispetto agli usi giudaici, un'altra anomalia, visto che le vittime di morte violenta dovevano essere ricoperte di stracci: la sindone è un tessuto nuovo (sindone munda; in greco: σινδόνι καθαρᾷ).

Tornato al Golgota, accompagnato da Nicodemo, che per parte sua aveva provveduto all'acquisto di aromi sepolcrali («venit autem et Nicodemus..., ferens mixturam myrrae, et aloes, quasi libras centum», Gv 19,39), provvide alla deposizione del cadavere dalla croce, ma non sappiamo se questa sia stata effettuata dai soldati romani o dallo stesso Giuseppe con l'aiuto di Nicodemo.
Certamente, durante questa manovra il volto di Gesù venne coperto da un sudarium, in modo da nasconderlo agli occhi dei presenti, secondo gli usi giudaici.
Il corpo non venne ritualmente lavato perché a quattro categorie di persone era negata questa purificazione: le vittime di morte violenta, i condannati a morte per crimini religiosi, i proscritti dalla comunità giudaica e coloro che morivano non per mano dei Giudei.
Gesù era compreso in tutte e quattro queste categorie.
Il cadavere quindi fu deposto nel lenzuolo funerario.

Nei Sinottici troviamo il verbo involvit per indicare l'avvolgimento del corpo nella sindone.
In realtà, nel testo greco, Marco diverge da Matteo e Luca, perché usa il verbo ἐνειλέω che sta ad indicare un avvolgere strettamente, imballare, costringere dentro e, riportato al corpo umano, l'avvolgere il neonato nelle fasce.
Matteo e Luca, invece, usano il verbo ἐντυλίσσω, che sta per avvolgere e suona meno sconveniente. Giovanni (19,40) sembra essere più puntuale: «et acceperunt ergo corpus Iesu, et ligaverunt illud linteis cum aromatibus, sicut est Iudaeis sepelire».
Giovanni puntualizza che furono usati più elementi di stoffa, più panni, per funzioni diverse, che Egli indica complessivamente come teli (linteis della Vulgata; ὀθόνια nel testo greco): sindone, sudario e strisce di stoffa.
La vicinanza del sepolcro, scavato in orizzontale, di Giuseppe permise di effettuare solo un breve percorso, ed il cadavere, già in preda al rigor mortis e, quindi, più facilmente trasportabile a causa della rigidità, venne adagiato sulla pietra con gli aromi, che in parte furono cosparsi sul lenzuolo ed in parte lasciati nel sepolcro per neutralizzare i miasmi della putrefazione, di cui peraltro la sindone non porta alcun segno.
Egli anticipa così, attirando l'attenzione, con esattezza quanto vedrà nel sepolcro la domenica mattina.
Fu fatta rotolare la grossa pietra circolare che chiudeva il sepolcro.
Il terzo giorno, come era usanza giudaica (sia per verificare che non si trattasse di morte apparente, sia per portare aromi), le donne si recarono al sepolcro e videro la pietra rimossa; avvisarono Pietro, che si precipitò con Giovanni.
Questi giunse primo, ma non entrò: «currebant autem duo simul, et ille alius discipulus praecurrit citius Petro, et venit primus ad monumentum. Et cum se inclinasset, vidit posita linteamina, non tamen introivit. Venit ergo Simon Petrus sequens eum, et introivit in monumentum, et vidit linteamina posita. Et sudarium quod fuerat super caput eius, non cum linteaminibus positum, sed separatim involutum in unum locum. Tunc ergo introivit et ille discipulus qui venerat primus ad monumentum et vidit et credidit»(Gv 20,4-8).

Giovanni, pur nella essenzialità del racconto, è molto attento ad annotare dettagli di non poco momento.
Giovanni arrivò al sepolcro, ma si fermò al primo ambiente, da dove vide i teli, ma non si soffermò sulla disposizione degli stessi.
Pietro entrò nel sepolcro e vide i teli (ὀθόνια): la sindone, il sudario e le strisce di stoffa utilizzate per legare il cadavere.
Nella traduzione latina vidit è usato indifferentemente tre volte. Nel testo greco, invece, in successione ed in un crescendo di significati, vengono utilizzati tre verbi diversi:

1) βλέπει
2) θεωρεῖ
3) εἶδε καὶ ἐπίστευσεν

Giovanni ha voluto utilizzare tre verbi per marcare l'evoluzione della comprensione del fatto: dapprima guarda in modo superficiale, senza percepire il tutto (βλέπει); Pietro guarda con attenzione, associando alla visione anche una elaborazione intellettiva (θεωρεῖ); infine Giovanni vide e credette (εἶδε καὶ ἐπίστευσεν), nel senso che la percezione visiva fu contestuale all'atto di fede, cioè nel momento della visione dei teli ebbe fiducia nelle parole del Signore, che aveva annunciato la resurrezione di cui, ora, era testimone.

Ma che cosa vide Giovanni? Quegli stessi panni, utilizzati per comporre il cadavere, che furono già indicati a proposito della sepoltura come anticipazione e a conferma di questo successivo evento, erano tutti nel se- polcro: la sindone, così come disposta ad avvolgere il cadavere, piegata in due; il sudario, che era stato utilizzato e riposto in maniera ordinata nel sepolcro; le strisce di stoffa, che erano servite da legacci.
Il lenzuolo era lì, ma svuotato del corpo, sulla pietra, non in modo disordinato, ma così come era stato lasciato all'atto della sepoltura.
Fu questo dato che Giovanni elaborò nell'atto del guardare e, nella sua mente, accostò le parole di Gesù, «solvite templum hoc, et in tribus diebus excitabo illud» (Gv 2,19), alla sindone vuota ed ebbe fiducia nel Signore e credette nella Resurrezione.

La scena di Pietro e Giovanni nella tomba vuota racchiude il senso del messaggio di Cristo: la promessa della Resurrezione si è concretizzata davanti ai loro occhi.
Pietro guarda con attenzione, meditando, capisce, non ha parole.
Giovanni vede non meccanicamente, ripensa alle parole del Signore, in una manciata di secondi ha davanti ai suoi occhi la realtà nuova, annunciata, della vittoria sulla morte.
Quella visione fu il motivo immediato del suo credere, della sua totale adesione a Gesù, nell'amore del quale ripose una completa, responsabile fiducia.
Questa consapevolezza, per Lui come per Pietro, si consolidò nel silenzio del sepolcro: nessuno dei due disse una parola, rapiti davanti a quella realtà nuova, che il Signore aveva loro anticipato.
Da quel sepolcro ne uscirono trasformati, consapevoli di essere entrati in comunione col Padre.

Ma che cosa vide Giovanni per cui credette?
I teli usati per la sepoltura:

•   il lenzuolo, nel quale era stato deposto Gesù
•   il sudario, ripiegato con cura in un luogo a parte all'atto di andar via dal sepolcro il pomeriggio          del Venerdì
•   le strisce di stoffa.

La sindone era lì, svuotata del corpo, ripiegata in due così come era stata disposta per accogliere su una metà la superficie dorsale del cadavere con l'altra a coprire la superficie frontale.

La disposizione della sindone non poteva lasciare spazio a dubbi: la sindone non era stata maneggiata. E le strisce di stoffa? Stanno a significare la liberazione dall'involucro della materialità terrena, così come la nascita libera il Dio incarnato dal grembo di Maria.
Giovanni, a distanza di anni, ricorda con lucidità quei momenti in cui Egli stesso può rappresentare l'umanità incredula che si abbandona, matura e consapevole, all'Amore, dopo quella esperienza unica: vedere e credere nella resurrezione.
La fiducia nella resurrezione costituisce il fondamento della fede; senza questa certezza la parola del Signore sarebbe vuota:

«Ma se Cristo non è resuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede» ( San Paolo, I Cor 15,14-15).

E tutta la scena nel sepolcro si svolge nel silenzio: nessuno dei due parla; entrambi assorti, Pietro e Giovanni, nel mistero che davanti ai loro occhi si è disvelato.
E si è disvelato ai loro occhi ed alla loro mente attraverso un semplice ed umile mezzo: un pezzo di lino usato per comporre il cadavere del Signore. Essi videro solo la sindone senza il corpo, non videro l'immagine impressa: solo il lino.

Cristo non ha voluto privare nessun uomo della gioia che, seppur nello stupore, dovette pervadere Giovanni. Ci ha lasciato quel lino perché potessimo vedere e credere, vedere l'immagine dell'Amore per tutti gli uomini, offerto attraverso il dolore più grande, ed avere fiducia in Lui, che aveva annunciato la Sua Resurrezione ed era veramente risorto.

Oggi, davanti alla Sindone, in quello stesso silenzio nel quale Giovanni vide e credette, ogni uomo può essere protagonista di quella medesima esperienza.
Ecco perché Cristo ha lasciato a tutti gli uomini il segno del Suo Amore: la Passione, la Morte e la Resurrezione in un semplice pezzo di lino.

Davanti alla Sindone questi tre momenti si percepiscono semplicemente nell'atto di Amore Suo per noi e nostro per Lui.
Quel pezzo di lino parla continuamente, stimola l'intelligenza, offre nuove scoperte a mano a mano che la scienza avanza, interagisce dinamicamente con il progredire della conoscenza.
Così parla il linguaggio di ogni epoca, in maniera sorprendente.

Non possiamo penetrare nella mente di Dio, ma il suo linguaggio è talmente semplice ed umile da non venire percepito dalla mente umana.
Il verbo incarnato nasce in un'umile capanna, viene composto da morto in un umile lino che lascia da Risorto.
Le parole di Giovanni Paolo II pronunciate il 24 maggio 1998 sono illuminanti:

«Nella Sindone si riflette l'immagine della sofferenza umana ... la Sindone non solo ci spinge a uscire dal nostro egoismo, ma ci porta a scoprire il mistero del dolore, che, santificato dal sacrificio di Cristo, genera salvezza per l'intera umanità.
La Sindone è anche immagine dell'Amore di Dio, oltre che del peccato dell'uomo. Facendo eco alla parola di Dio e ai secoli di consapevolezza cristiana, la Sindone sussurra: credi nell'Amore di Dio, il più grande tesoro donato all'umanità, e fuggi il peccato, la più grande disgrazia della storia.
La Sindone è anche immagine di impotenza. Impotenza della morte, in cui si rivela la conseguenza estrema del mistero dell'Incarnazione... La fede, ricordandoci la vittoria di Cristo, ci comunica la certezza che il sepolcro non è il traguardo ultimo dell'esistenza. Dio ci chiama alla resurrezione e alla vita immortale.
La Sindone è immagine del silenzio... Il nostro tempo ha bisogno di riscoprire la fecondità del silenzio, per superare la dissipazione dei suoni, delle immagini, delle chiacchiere che troppo spesso impediscono di sentire la voce di Dio...
»

 

Walter Memmolo

 

 

Bibliografia

•   Blinzer J., Il processo a Gesù, Brescia, 1966
•   Brown R. E.,   La morte del Messia. Un commentario ai Racconti della Passio-      ne nei quattro Vangeli, Brescia, 2007, pagg. 1359-1450
•   Canizares A., Guerrra H., Ledesma J.P., Cristo, Nostra  Pasqua, Edizioni ART,      2012, pagg. 145-177
•   Chantraine P., Dictionnaire étymologique de la langue grecque,   Klincksieck,      Paris, 1968-19801
•   Ghiberti G., La sepoltura di Gesù. I Vangeli e la Sindone,  Roma, Ediz. Pietro        Marietti, 1982
•   Giovanni Paolo II, Discorso nella Cattedrale di Torino, 24 maggio 1988
•   Ricciotti G., Vita di Gesù Cristo, Milano, Mondadori, 1989
•   Zaccone G.M., La Sindone. Storia di una immagine, Milano, Paoline Editoriale      Libri, 2010

 

«Tuam sindonem veneramur, Domine, et tuam recolimus passionem»
La nuova teca in cui è riposta la Sindone
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