Ricordare
Sebastiano Rodante
(1924 - 2016)

 

La Lezione di Sebastiano

L’iniziativa di ricordare il caro Sebastiano Rodante, è non solo lodevole, ma doverosa. Per me che nel lontano ’77 mi affacciavo al complesso ed affascinante mondo della Sindone, quasi per caso, il nome e la presenza di Rodante rappresentarono immediatamente un punto di riferimento. L’ostensione del 1978, la prima alla quale potei dare il mio piccolo apporto da neofita, nonostante l’indimenticabile don Coero Borga già mi avesse catapultato nell’agone delle “conferenze”, mi consentì di entrare in contatto con i grandi della ricerca e con tante persone che hanno contribuito a creare una particolare storia all’interno della storia della Sindone.

Ricordo alcune figure in particolare: l’esuberante salesiano don Carreño Exteandia che appallottolava e restitutiva con plateali lanci i tanti foglietti di richiamo al rispetto dei tempi con i quali il presidente della sezione, Angelo Lovera di Maria, tentava inutilmente di arginare la sua appassionata relazione al Convegno Internazionale finale; il compassato Max Frey con il suo accento italo-svizzero-tedesco, il giovanissimo ma già entusiasta John Jackson, la vivace ed onnipresente Dorothy Crispino, il pensoso e affaticato dott. Stanislao Walitzewski, polacco che con fatica e non pochi rischi diffondeva oltrecortina la conoscenza della Sindone e che tra molte difficoltà aveva potuto raggiungere Torino e godere dell’ostensione. E Sebastiano. Che fra tutti fu quello che più ebbe amichevole approccio con il giovane universitario che entrave in quel mondo che lui già da tempo, con modestia e rispetto, frequentava. Ricordo l’affetto con il quale maneggiava le sue tele sindoniche impressionate nelle catacombe di Siracusa – e già la cosa rivestiva di un’aura romantica il suo lavoro – e come si affannava a spiegarne la genesi con quel suo tanto marcato quanto piacevole accento siciliano, e quella voce bassa, sempre misurata e suadente probabilmente retaggio dell’amata professione a contatto con i piccoli. Questo il mio primo incontro. Quante volte ci siamo poi sentiti per telefono nel tempo: telefonate nelle quali mi spiegava i suoi progetti, le sue ricerche, mettendomi spesso in imbarazzo per la fiducia che riponeva nei miei confronti. Un momento particolare di collaborazione fu nel 1986. L’improvvisa morte di don Piero Coero Borga mi lasciò da solo a portare a compimento il volume sulla Sindone nel quale aveva speso molte energie e creduto fortemente, al quale mi aveva chiamato a collaborare. Sebastiano mi aiutò molto e fu di grande conforto in quel frangente nel gestire una non indifferente responsabilità che mi era caduta sulle spalle nel difficile e per me nuovo compito. Ricordo ancora un incontro del tutto fortuito in un giorno di settembre ad Assisi. Io ero là come molte volte per proseguire i mie studi sul francescanesimo delle origini. E al mattino molto presto – l’ora in cui amavo fare due passi per le vie ancora non affollate di turisti - mi scontrai con la sua caratteristica figura che usciva da una Chiesa. Era lì per un convegno di medici cattolici – mi disse - ma prima dell’inizio della giornata di lavori aveva voluto partecipare alla Santa Messa, non contemplata nel programma. Quante feste! Volle a tutti i costi offrirmi la colazione e intanto mi parlava di san Francesco, della Sindone e della sua professione, con eguale trasporto e Ricordo alcune figure in particolare: l’esuberante salesiano don Carreño Exteandia che appallottolava e restitutiva con plateali lanci i tanti foglietti di richiamo al rispetto dei tempi con i quali il presidente della sezione, Angelo Lovera di Maria, tentava inutilmente di arginare la sua appassionata relazione al Convegno Internazionale finale; il compassato Max Frey con il suo accento italo-svizzero-tedesco, il giovanissimo ma già entusiasta John Jackson, la vivace ed onnipresente Dorothy Crispino, il pensoso e affaticato dott. Stanislao Walitzewski, polacco che con fatica e non pochi rischi diffondeva oltrecortina la conoscenza della Sindone e che tra molte difficoltà aveva potuto raggiungere Torino e godere dell’ostensione. E Sebastiano. Che fra tutti fu quello che più ebbe amichevole approccio con il giovane universitario che entrave in quel mondo che lui già da tempo, con modestia e rispetto, frequentava. Ricordo l’affetto con il quale maneggiava le sue tele sindoniche impressionate nelle catacombe di Siracusa – e già la cosa rivestiva di un’aura romantica il suo lavoro – e come si affannava a spiegarne la genesi con quel suo tanto marcato quanto piacevole accento siciliano, e quella voce bassa, sempre misurata e suadente probabilmente retaggio dell’amata professione a contatto con i piccoli. Questo il mio primo incontro. Quante volte ci siamo poi sentiti per telefono nel tempo: telefonate nelle quali mi spiegava i suoi progetti, le sue ricerche, mettendomi spesso in imbarazzo per la fiducia che riponeva nei miei confronti. Un momento particolare di collaborazione fu nel 1986. L’improvvisa morte di don Piero Coero Borga mi lasciò da solo a portare a compimento il volume sulla Sindone nel quale aveva speso molte energie e creduto fortemente, al quale mi aveva chiamato a collaborare. Sebastiano mi aiutò molto e fu di grande conforto in quel frangente nel gestire una non indifferente responsabilità che mi era caduta sulle spalle nel difficile e per me nuovo compito. Ricordo ancora un incontro del tutto fortuito in un giorno di settembre ad Assisi. Io ero là come molte volte per proseguire i mie studi sul francescanesimo delle origini. E al mattino molto presto – l’ora in cui amavo fare due passi per le vie ancora non affollate di turisti - mi scontrai con la sua caratteristica figura che usciva da una Chiesa. Era lì per un convegno di medici cattolici – mi disse - ma prima dell’inizio della giornata di lavori aveva voluto partecipare alla Santa Messa, non contemplata nel programma. Quante feste! Volle a tutti i costi offrirmi la colazione e intanto mi parlava di san Francesco, della Sindone e della sua professione, con eguale trasporto e amore. Mi rammarico di avere perso i contatti negli ultimi anni, travolto dagli impegni e dal lavoro, ma tanti altri bei ricordi si affollano alla mente, che mi rievocano la figura di un maestro, non solo e non tanto di cose sindoniche, ma soprattutto dell’agire e pensare con coerenza e umiltà. Sebastiano deve rimanere quale modello di tutti coloro che affrontano e si confrontano con la Sindone. Il modello di una persona che ha sempre inteso il suo lavoro per diffondere e difendere la Sindone come un servizio, non come occasione di gratificazione personale o peggio di autocelebrazione. Che lezione magnifica!

 


 
Gian Maria Zaccone
 
Direttore
Centro Internazionale di Sindonologia
Torino

 

                   
pagina precedenteinizio pagina